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Nel 2021 è stato impiantato con successo una sorta di pacemaker all’interno del cervello in una ragazza di 38 anni affetta da una forte depressione. Incredibilmente questa, ora, è sotto controllo. La Deep Brain Stimulation (DBS) è una tecnica già utilizzata per il morbo di Parkinson. Questa volta ha dato esito positivo anche con la depressione.

Nel corso degli ultimi anni, la tecnologia ha fatto passi da gigante; è innegabile. Nel corso degli ultimi anni la Deep Brain Stimulation si è focalizzata su diverse patologie, non ultima la depressione.

Deep Brain Stimulation
La Deep Brain Stimulation (Stimolazione profonda del cervello) riguarda la stimolazione intracranica di specifiche aree cerebrali. Tramite l’impianto chirurgico di elettrocateteri e di una sorta di “pacemaker” si riesce ad agire direttamente sulla materia grigia. Dal pacemaker vengono inviati impulsi elettrici verso gli elettrodi che attivano o inibiscono una determinata area cerebrale.

Deep Brain Stimulation

Questa tecnica è utilizzata da oltre 20 anni per il morbo di Parkinson con esiti buoni e alcune volte ottimi. Nel caso del morbo di Parkinson, tuttavia, solo il 10% di persone possono sottoporsi a questa terapia ed essa non è generalizzabile alle altre forme.

Nel corso degli anni è stata utilizzata la DBS per la depressione che però non ha dato esiti chiari, ma bensì contraddittori. Questo soprattutto per il fatto che la stimolazione non si adattava mai al paziente coinvolto, ma era tarata in maniera generale e poi applicata a tutti i pazienti. Questa volta i ricercatori hanno voluto adattare la DBS alla specifica paziente.

Depressione

La depressione, ad oggi, è una delle maggiori cause di disabilità la mondo. E’ il più diffuso disturbo mentale. Conta più di 300 milioni di persone in tutto il mondo che ne soffrono. Solamente in Italia si stima siano oltre 3 milioni le persone affette da depressione.

Questa si mostra solitamente con diversi sintomi, quali l’umore flesso, la sensazione di vuoti interiore, l’apatia, difficoltà nel dormire o inappetenza, così come la perdita di interesse di attività che prima della depressione erano stimolanti.

Solitamente la depressione è affrontata utilizzando sia la terapia farmacologica che la psicoterapia. Si parla in questo caso di terapia integrata.

Tuttavia vi è circa il 30% dei casi di depressione che non si riesce a trattare ne con la psicoterapia integrata ne con altre tecniche di stimolazione.

Sarah

Sarah, 38 anni, soffriva di una forte depressione, talmente pervasiva che ha dovuto lasciare il lavoro e la casa. I pensieri suicidari erano all’ordine del giorno. La terapia farmacologica era arrivata all’utilizzo di 20 farmaci diversi, ma nulla era cambiato. Non riusciva a stare meglio. Il vuoto che la attanagliava non si attenuava. L’umore totalmente flesso non accennava a cambiare polarità. Era sempre giù, svuotata, priva di energie.

Sarah ha provato anche la stimolazione magnetica transcranica (TMS) ma nulla. Questa tecnica consiste nel posizionamento di una bobina (coil) sull’area cerebrale su cui vogliamo agire e, una volta accesa, trasmette impulsi elettromagnetici al cervello per attivare o inibire quella zona. Questa tecnica non è invasiva.

Nessun risultato è stato ottenuto. Sarah infine è stata sottoposta anche a terapia elettroconvulsivante, conosciuta anche come elettroshock. In questa tecnica si applicano due elettrodi a due estremità del capo e viene rilasciata corrente che procede da un elettrodo all’altro. Neppure questa tecnica ha cambiato qualcosa.

Lo studio

Ha deciso dunque di partecipare ad uno studio sperimentale (qui il link per lo studio) di DBS condotto dai ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze presso l’Università della Californa San Francisco (UCSF). Nel giro di poche settimane i sintomi sono regrediti. Ora la sua depressione è sotto controllo. Ma cosa è successo?

Il dispositivo impiantato nel cervello rileva l’attività neurale di Sarah e “si accorge” quando tende a diventare depressa. In quel momento eroga impulsi elettrici per ripristinare l’attività neurale ed evitare di attivare il circolo depressivo. La paziente così non manifesta i sintomi depressivi. Sarah, non si è mai accorta dell’attivazione o disattivazione del pacemaker da parte dei ricercatori in fase di training; si è notato però il peggioramento dell’umore nel caso il pacemaker fosse disattivato.

Sarah in seguito all’intervento

La differenza sostanziale con i precedenti studi su DBS e depressione è lo studio preliminare dell’attività cerebrale di Sarah. Grazie alla mappatura dell’attività cerebrale nei 10 giorni precedenti all’impianto dove hanno stimolato Sarah con domande emotivamente felici e tristi, i ricercatori hanno deciso di inserire il pacemaker nell’emisfero destro. Lo hanno collegato allo striato ventrale e all’amigdala. Entrambe sono aree legate all’emozione. In particolare, lo striato ventrale ha un ruolo cruciale nel sistema di ricompensa, fondamentale nella depressione. Successivamente si è stati in grado di tarare l’intensità della stimolazione ad hoc.

Questo è solamente uno studio pilota, il che significa che è il primo passo verso una tecnica, che deve essere ancora studiata ma che potrebbe essere impiegata per quel 30% di casi di depressione che non rispondono ad altra terapia.
Affidarsi alla scienza consente di poter valicare traguardi fino a poco tempo fa inimmaginabili.

Bibliografia

  • Bouthour, W. et al. Biomarkers for closed-loop deep brain stimulation in Parkinson disease and beyond. Nat. Rev. Neurol. 15, 343–352 (2019).
  • Scangos, K.W., Khambhati, A.N., Daly, P.M. et al. Closed-loop neuromodulation in an individual with treatment-resistant depression. Nat Med 27, 1696–1700 (2021). https://doi.org/10.1038/s41591-021-01480-w

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